Tristanoil. Il film più lungo della storia. Tre domande a Giacomo Verde

 

 




Tre domande a GIACOMO VERDE

Intervista a cura di Mario Savini

 

Tristanoil è il film più lungo della storia e nasce da un’idea di Nanni Balestrini in riferimento al suo romanzo combinatorio Tristano, scritto nel 1966 e stampato nel 2007 in copie tutte diverse. Il lungometraggio (presentato per la prima volta nel 2012, in occasione di dOCUMENTA 13, con una durata complessiva di 100 giorni) è generato da un computer che assembla casualmente 130 videoclip, sviluppando un flusso narrativo ininterrotto attraverso capitoli sempre diversi da 10 minuti. Tristanoil sfida il concetto di tempo perché la sua durata è infinita, costruisce un tema che fa riflettere sui disastri causati dal petrolio (oil appunto) e mette in discussione ogni definizione di “controllo”. Le sequenze video selezionate da Dallas, le news di catastrofi ecologiche, le immagini della guerra sono state “alterate” da Giacomo Verde con un forte intento provocatorio, lasciando lo spettatore sgomento di fronte alla rassegnazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


È tua l’elaborazione video di “Tristanoil”, il film più lungo della storia generato da un computer. Come avviene esattamente la narrazione e per cosa si caratterizza? Qual è il tema centrale del lungometraggio?

Il tema del lungometraggio è “il petrolio e i disastri naturali e culturali provocati dal suo utilizzo”, e non si basa su una narrazione di tipo classico. Non esiste una trama, e un suo sviluppo, ma piuttosto una riproposizione continua del tema trattato. Il computer genera continuamente capitoli di circa 10 minuti andando a pescare in un data base di 130 clip video. Inoltre i clip sono costantemente “sovrapposti” ad un flusso di petrolio (oro nero) che ne altera i colori. Il film nasce con la coscienza che nessuno potrà mai vederlo tutto e che quindi il “significato” debba essere percepito costantemente, anche con pochi secondi di visione, oltre la sua durata totale. Il fatto che le immagini siano sempre “alterate” e immerse nel petrolio ha un doppio significato: relativizzarne consistenza e valore, e segnalare che nascono dal petrolio, ovvero che per essere realizzate è stata utilizzata energia non rinnovabile. Come per la grande maggioranza dei prodotti industriali del nostro pianeta.


Il senso di un’immagine non cristallizzata produce instabilità e disorientamento. In questo nomadismo vorticoso cosa significa scegliere? Può esserci un richiamo alla casualità e al riassemblaggio proposti dalla poesia dadaista?

I 130 clip che stanno alla base del processo di montaggio sono stati accuratamente scelti da Nanni Balestrini e da me, sia per la durata che per la tipologia di immagini. L'assemblaggio invece è lasciato al “caso matematico” generato dal computer, in modo che nessun capitolo possa mai essere uguale ad un altro (anche se è possibile che succeda). Certo può esserci un richiamo alla poesia Dadaista ma nel nostro caso il tipo di “montaggio casuale” non genera il classico non-sense ma piuttosto una sorta di “iper-sense” spiazzante quanto quello dei dadaisti. Lo stesso processo è stato applicato anche ai  testi che fanno da didascalia in ogni capitolo e alla colonna sonora. Entrambe sono frammenti di testi e parole di Nanni Balestrini remixati in modo che potessero acquistare “altro” senso, in relazione alle immagini, e qualità “musicale” per l'orecchio dello spettatore.


Sia per la durata sia per l’articolazione di parole frammentate, non sempre comprensibili, il film mira inevitabilmente a trasportare una forte provocazione. Che tipo di sensazione vuole comunicare? Quale obiettivo vuole raggiungere?

Siamo partiti dalla convinzione che ogni opera d'arte, e di comunicazione, acquista senso prima di tutto dalle modalità di elaborazione, ovvero il processo è il contenuto. In una società post industriale, basata sul consumo del petrolio, dove si mira ad avere il controllo assoluto della comunicazione, e del mondo, ci è sembrato importante realizzare un'opera che mettesse in discussione proprio questa “voglia di controllo totale”. Così noi stessi, autori dell'opera, abbiamo rinunciato ad avere il controllo totale del segnale audiovisivo, lasciando che fosse la macchina a crearne la versione “definitiva”.  È un po’ come ribaltare le modalità dell'attuale produzione economica-politica. Ci sono poteri che pretendono di avere un controllo totale dei nostri comportamenti senza per fortuna riuscirci ma generando continui disastri planetari. Nella nostra opera invece, avendone delegato la generazione alla macchina, assistiamo alla pari con gli altri spettatori, e con piacevole sorpresa estetica, alla produzione di segnali che vanno oltre le nostre intenzioni. Come lo spettatore siamo in una situazione di impossibilità di visone totale del film ma in grado comunque di comprenderne il senso. Viviamo in un mondo esploso e frammentato, ma dai frammenti di questa situazione possiamo comunque risalire alle cause e al contesto generale che l'ha creata.

 


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