Biennale d’Arte di Venezia 2013. Il sapere è un link

 

di Annalisa Filonzi

 

Camille Henrot, Grosse Fatigue, 2013

 

 

di ANNALISA FILONZI

 

 

In una Biennale d’Arte di Venezia edizione 2013 dove il desiderio principale degli artisti nelle mostre dei padiglioni nazionali ai Giardini è quello di guardare alla natura come luogo di riflessione a cui tornare, o come problema da affrontare con urgenza, il tema della mostra internazionale, curata da Massimiliano Gioni, è molto più intellettuale ed affronta un problema non nuovo alla cultura, che possiamo far risalire al ‘700, all’epoca dei Lumi: quello del sapere enciclopedico, cioè del desiderio di vedere tutto e sapere tutto, che con la nascita della psicanalisi, nel ‘900, si arricchisce dell’illusione di conoscere anche i movimenti più reconditi del pensiero – non a caso l’opera simbolo esposta nella prima sala sono le illustrazioni del Libro rosso di Carl Gustave Jung – e che nell’epoca attuale risulta ancora più urgente e ossessiva a causa dei nuovi mezzi tecnologici che l’uomo ha a disposizione, che sembrano rendere l’utopia molto più raggiungibile.
In realtà in mezzo ad un’idea generale che emerge dell’arte come ossessione, come processo irrazionale e occulto, che rende l’espressione degli artisti una visione interiore, o anche solo una visione - ossessione per altro in cui sono coinvolti anche i collezionisti con il loro tentativo di comprendere e conquistare tutto lo scibile -, tra le innumerevoli occasioni in cui il video è utilizzato come illustrazione, si possono notare alcune opere in cui la riflessione si sposta sul mezzo tecnologico come strumento per raggiungere finalmente l’impossibile.
Infatti, anche se in alcuni casi può sembrare, soprattutto ai non iniziati, che quelli della tecnologia siano processi irrazionali e misteriosi che complicano la comprensione, in realtà la loro capacità di creare collegamenti e funzionare simultaneamente a grandi velocità li rendono i mezzi ideali per conoscere il mondo e riuscire a catalogarlo. Ed è per questo che, in una Biennale d’Arte che appare organizzata come una grande raccolta di link, che sfrutta le ricerche degli altri e la loro mania di catalogare il mondo, solo poche opere sembrano veramente riportare il tema centrale all’attualità, in un mondo contemporaneo dove l’idea dell’accumulo può essere separata dalla mania.  E se alcuni artisti come il tedesco Dieter Roth che registra con precisione ogni dettaglio della sua vita quotidiana, e la svedese Linda Fregni Nagler che ha accumulato centinaia di fotografie amatoriali e commerciali dell’Ottocento e del primo Novecento, solo per fare due esempi, si servono del video o della fotografia per collezionare immagini e aspetti del mondo, o, come l’inglese Steve McQueen se lo immaginano come linguaggio del futuro, capace di mettere in contatto mondi diversi, spingendosi, insieme alla Nasa, alla ricerca di contatto con mondi lontani nell’universo, in cui riversare tutto il nostro sapere di uomini, divenuto, forse, incontenibile, nel nostro sferico pianeta, e creando, attraverso questo catalogo di lingue e immagini sparato nello spazio, un mondo non reale ma inventato, c’è un’artista che mi sembra abbia più degli altri usato le possibilità della tecnologia come linguaggio, come metodo: Camille Henrot, che ha ottenuto il Leone d’Argento. Per la Biennale l’artista ha creato un’opera video intitolata Grosse Fatigue nata durante una borsa di studio alla Smithsonian Institution di Washington, che aveva lo scopo, attraverso varie ricerche negli archivi nazionali, di riunire i tentativi passati e presenti di sintetizzare l’intera conoscenza umana. L’apertura simultanea di tantissime finestre sullo schermo di un computer e la possibilità allargata che questo mezzo offre di fare ricerca attraverso la rete internet, ci danno l’idea, in tredici minuti, di quanto varia e colorata sia l’umanità e i suoi tentativi. Tuttavia è proprio nell’impossibilità che queste ricerche simultanee trovano un’unità, pur mantenendo la soggettività di chi le ha realizzate. Così, anche se tutti questi tentativi di conoscenza totale non raggiungono e non raggiungeranno mai una verità oggettiva, secondo l’artista nel loro insieme creano un’immagine prismatica del regno del pensiero.
Alla fine, quindi, risulta che catalogare il mondo, oggi, anche con la tecnologia a disposizione, conoscerlo anche attraverso Google o Wikipedia, è solo un’illusione. La conoscenza sarà sempre parziale e impossibile e, come diceva il filosofo greco Socrate, più si conosce e più si sa di non sapere niente. Per questo, l’arte è e deve sempre essere ricerca e utopia! 

 

 

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